In Venezuela two distinguished: Eco-School and Dreamland are met

The Magic of Faith. A field used surreptitiously as a garbage dump. Flora and fauna cornered by «terrofagos» (thirsty for earth), that with impunity were deforesting or burning mangrove and filling its roots with construction debris, in order to enlarge the fences of their houses. The last lung-kidney most important of the Zulia State municipality : the mangroves of Maracaibo, western Venezuela, that was seriously injured by impunity and suddenly, a miracle happens: the community of that environment has decreed it «Community Park».

«Land of Dreams» is the name of the most illustrious park in the city of Maracaibo. Because re-emerged as a phoenix from the ashes, debris and indifference.

The Eco-School program is moving towards its second phase, which leads students to understand the experience of their environment, to become sensitive with the flora and fauna associated with their environment. The meeting was inevitable and now rediscovered to «Land of Dreams.»

The children of Jesus Maria Portillo Eco-school from the town Santa Rosa de Agua, hypnotized by the tunnels of mangrove trees and wetlands, jumping between their natural canals of water flowing to the rhythm of the tides, climbing among the branches of red mangrove (Rizófora mangle) have discovered one of the most beautiful forests in the country. They saw birds, crabs, scary snakes and a special flora, which the Ecoguide of the park explained them with a lot of knowledge.

So it will find these two distinguished Venezuelans, that will contribute decisively to train men and women that will defend in the medium term with knowledge the spaces for everybody (human and nonhuman).

Some years ago when we came out, as Blue Environmentalist Foundation, with the proposal to create eco-schools, we walked a lot knocking on doors of schools so they could listen to us, very few doors that were opened, until we came to one that did heard us, as the same with the proposal for the Community Park «Land of Dreams», without knowing us and with an act of faith, angels in the flesh decided to pay attention to us and join us.

Today, there are only in the Maracaibo municipality 250 Eco-Schools and it has the country’s first Community Park as a strategy to defend the erosion that suffers the national parks or green areas product of action of humans-large ants, land swallows.

Eco-School and Land of Dreams, distinguished environmentalists from my country.In good time!

Lenin Cardozo / Mariana Jaramillo | ANCA24

Tundra e boschi boreali, l’ultima frontiera da salvare

La vita nell’emisfero nord contiene due biomi[1] tipici, che si estendono, uno dopo l’altro, fra le regioni polari e i biomi ubicati più a sud. Essi sono la tundra, privo di vegetazione boschiva, e il bosco boreale o taiga, soprattutto foreste di conifere. La tundra è il nome dato a queste foreste polari, soprattutto nelle regioni artiche dell’Asia che si trovano tra i ghiacci perpetui del nord e le foreste della taiga a sud o boschi boreale. Il suolo della tundra rimane congelata durante la maggior parte dell’anno, e in parte si scioglie in estate. L’acqua si raccoglie poi in paludi e acquitrini. Nella tundra, il fattore limitante è la temperatura. La media annua delle precipitazioni è bassa, circa 250 mm, e la temperatura massima supera i 10º C. Il sottosuolo ha uno strato di ghiaccio permanente, il cui spessore varia a seconda della stagione. Questo strato di terreno è chiamato permafrost.

Nella tundra, le forme di vita dominanti sono muschi e licheni. Nonostante le scarse precipitazioni, entrambe le forme crescono bene, perché l’evaporazione è quasi inesistente e vi è un’alta concentrazione di umidità. Il suolo, povero di sostanze organiche, ha una carenza di sostanze nutritive. Tutta la tundra è zona di torbiere, alcuni depositi di carburante fossile, la torba, costituiti da residui vegetali che si sono accumulati nel corso di migliaia di anni nelle paludi.

Per il freddo intenso, il processo di decomposizione è molto lento e la formazione di suolo fertile è scarsa. La fauna della tundra ha anche poca diversità. Le due specie principali sono renne in Europa e in Asia, e caribù in America. Si tratta di animali molto simili che, probabilmente, discendono da un antenato comune. I ruminanti sono mammiferi della famiglia dei cervi, e vivono in branchi.

Approssimativamente, hanno sollevato un metro e mezzo sollevato -l’altezza di un quadrupedo, misurata dal suolo alla cima della sommità della spina dorsale -. Il suo pelo, molto denso, cambia dal grigio bruno al bianco in inverno. Essi hanno le corna, con cui scavano nella neve alla ricerca di licheni il loro cibo. Essi migrano periodicamente, in conformità con i cicli di riproduzione di forme di vita di cui si alimentano. Le renne sono addomesticate e utilizzate come animali da tiro e da carico. Altri mammiferi che si nutrono di piante e licheni sono i lemmings, specie di topi di campo.

Ci sono anche lepri artiche, lupi, volpi, linci e orsi polari, e anche un tipo di bovino selvatico adattato al freddo estremo, il bue muschiato. Molti di questi animali ibernano, cioè, entrano in letargo invernale, dopo aver accumulato riserve nel loro corpo durante la breve stagione calda. È maggiore la varietà di uccelli: ci sono gufi “nivali”, palmati come l’oca e il matto, e il falco più grande consciuto, girifalco.

Altri uccelli provenienti dal sud, trovano nella tundra le condizioni necessarie per la nidificazione e riproduzione. Durante i giorni d’estate ci sono anche alcuni moscerini e zanzare. È sorprendente che in zone così fredde questi insetti vengono a riprodursi fino a formare sciami enormi. Nella breve stagione estiva, parte della neve si scioglie, il sottosuolo della tundra, gelati durante tutto l’anno, impedesce il drenaggio formandosi stagni e paludi. L’acqua stagnante raggiunge quindi temperature sufficienti per la riproduzione delle larve di zanzara.

Tradizionalmente, la tundra è stata abitata dagli eschimesi, -cacciatori e pescatori- e allevatori di renne, che continuano muovendosi dai boschi, cercando cibo per le loro greggi e raggiungono la tundra nel’epoca meno fredda dell’anno. È interessante notare che la vita di questi popoli in qualche modo evoca il cosiddetto uomo di Cro-Magnon, un antenato dei moderni esseri umani che abitavano la regione della Dordogna, nel sud della Francia, circa 30.000 anni fa. Quella zona, ora temperata, era tundra in quei tempi. Le scoperte archeologiche e dipinti delle grotte in cui vivevano mostrano analogie con gruppi di eschimesi dell’attuale tundra.

La foresta boreale o taiga, sono quelli che si sviluppano a sud della tundra e del nord della steppa. Sono formazioni forestale di clima freddo, dominata da conifere. Questo bioma si chiama al nord della Siberia, taiga che significa in russo boschi freddi e nella regione del Mar Hudson e nel nord del Canada sono chiamati boschi boreali, che significa boschi del nord. Lì crescono, favoriti dal clima meno rigoroso che quelli della tundra e per un suolo che soffre meno l’effetto della nevicata. La temperatura media è di 19º C in estate e -30° C in inverno, la media annua delle precipitazioni raggiunge 450 mm.

In tutta questa zona i paesi Scandinavi, Siberia e Canada si tovano boschi di abeti, pini e larici e di betulle. La fauna è composta da animali che resistono al freddo, molti dei quali ibernano: alci, bisonti, lupi, orsi, linci, martore, scoiattoli, marmotte, castori, lemmings e cervi. Tra il confine nord del bosco boreale, dove gli alberi attivamente si rigenerano, e la tundra priva di alberi c’è una zona di transizione dinamica conosciuta come «bosche-tundra». L’estensione di questa zona può variare da pochi chilometri in Nord America fino ad oltre 200 chilometri in Europa. È naturalmente frammentata ed è composta di parcelle la cui copertura forestale è relativamente densa, interrotti da aree di lichen e brughiera, così come in zone poco boscosa.

Questa zona di tranzizione ospita più specie rispetto al sistema boreale e al sistema della tundra, poichè contiene entrambe le specie. Gli alberi del bosco-tundra, spesso sono poco sviluppati, e la sua rigenerazione è lenta. Questo ha fatto che, tradizionalmente, sia impraticabile lo sfruttamento commerciale del legname, nonostante l’ecosistema ha fornito per secoli il legno e legname di costruzione ai popoli indigeni. L’aumento della domanda globale di risorse potrebbe fare, tuttavia, che i boschi-tundra diventino una fonte importante di materie prime. Infatti le attività di sfruttamento forestale in Fennoscandia e nordovest della Russia si diffusero molto vicino al bosco-tundra nei decenni degli anni sessanta e anni novanta.

In inverno il bosco-tundra è un habitat importante per il Caribù in Canada e in Alaska e per il per il Regno d’Europa, servendo di apoggio a sua volta alle attività di allevamento delle renne dei popoli indigeni come Saami della Scandinavia. La zona ospita anche le attività pastorizia di pecore, di pesca e la raccolta dei prodotti non legnosi.

Le funzioni fisiche più importranti del boscho-tundra sono stabilire e proteggere i terreni fragili e sostanze nutritive, prevenire l’erosione, conservare le risorse idriche e la capacità dei bacini, filtrare sostanze inquinanti, servire come un indicatore del cambiamento climatico e, in collaborazione con il bosco boreale stesso, essere un serbatoio di carbonio. Qualsiasi cambiamento significativo nel bosco boreale potrebbe avere effetti significativi sul livello di CO2 nell’atmosfera. I boschi boreali contengono il 26% delle risorse totale di carbonio, più di ogni altro ecosistema terrestre: 323 gigatonnellate –Gt- nella Federazione Russa, 223 Gt in ​​Canada e 13 Gt in ​​Alaska.

Al contrario, si stima che i cambiamenti climatici produrrano nei boschi boreali aumenti di temperatura maggiori che in qualsiasi altro tipo di foresta. Il riscaldamento, che sarà superiore in inverno che in estate, spostarà verso il nord, le zone climatiche a velocità fino a 5 chilometri all’anno. I boschi boreali avanzeranno verso nord, nelle sue regioni meridionali, invece, spariranno o saranno sostituiti da specie temperate. Durante l’estate i suoli saranno più asciutti, e gli incendi e la siccità più frequenti. Da continuare con il consumo eccessivo sembrarebbe che entro il 2100, l’espansione del bosche boreale verso il nord ridurrà di circa il 50% l’area di tundra.

Lenin Cardozo | ANCA24 – Hugo E. Méndez U. | ANCA24 Italia

[1] Insieme di comunità di essere viventi che si estendono su una vasta area geografica caratterizzata da un clima e da altri fattori: i principali biomi continentali sono tundra, taiga, bosco latifoglie, il bosco mediterraneo, il deserto, prateria e la foresta pluviale.

I popoli indigeni delle foreste Europee e la taiga Siberiana. I boschi primari

Dei 300 milioni di persone indigene che esistono in tutto il mondo, i boschi primari sono stati il rifugio di circa 150 milioni di loro. Si stima che essi ospitano circa 1.500 gruppi etnici o tribù. L’amore per la madre natura, la sua riverenza tutti i giorni in ringraziamento per il cibo che essa gli fornisce, è il denominatore comune di queste comunità. Per questi popoli originari, il rispetto per la vita, è il principale valore è lo più sacro. L’avarizia, avidità o accumulazione di ricchezza, sono comportamenti che non entrano nella loro cosmovisione della vita. Così antica come i boschi primari sono quelle stesse comunità. E il suo destino è legato alla fragilità di questi boschi.

Di seguito verrà descritto molto succintamente, lo stile di vita delle principali comunità indigene, nei loro rispettivi ambienti.

I popoli indigeni delle foreste europee

I boschi primari boreali d’Europa rappresentano tra l’1% e il 3% delle foreste del mondo e ospitano oltre 100.000 indigeni. Nella parte nord della Scandinavia e nella regione russa di Murmansk abitano i lapones, che vivono di allevamento delle renne. In particolare, il popolo lapón, saami o sami si stabilirono nella regione chiamata Lapponia, che si estende nel nord della Norvegia, Svezia, Finlandia e della penisola di Kola, a nordovest della Russia. Ci sono circa 82.000 persone. Non esistono statistiche ufficiali sulla popolazione, ma si stima che circa 50.000 vivono in Norvegia, 20.000 in Svezia, 10.000 in Finlandia e 2.000 in Russia. I lapones, hanno rivendicato per sé la condizione degli indigeni.

Un altro importante gruppo etnico sono i komis -circa 24.500 persone- che vivono soprattutto nella Repubblica di Komi, nella parte europea della Federazione Russia e il resto in altri distretti della Federazione. Inoltre, i jacuti, che sono oltre 250.000, i evenk sono oltre 30.000, i khantis circa 22.000, gli ainu più o meno 16.500, i mansis poco più di 8.000, i selkups 3.500 e i kets circa 1.000 persone. Più a est, nella regione di Archangelsk e nella Repubblica di Komi, vivono i nenets è una comunità che ammonta a 30.000 indigeni e i komis a 7.000. I nenets abitano le regioni polari del nordest di Europa e nordovest della Siberia. Il suo mondo è la foresta-tundra, una regione di ghiaccio con molti fiumi e paludi.

La cultura e la lingua dei Nenets stanno scomparendo. Secoli fa, le migrazioni dei nenets erano governati dai cicli della renna. Vivevano come cacciatori e pescatori e condizionavano la loro vita alla tundra. Nei primi del novecento, lo Stato sovietico stabilí fattorie collettive e costrette ai nenets a lasciare le loro vita nomade. Fin dagli anni ‘50, l’habitat di questo popolo è stato distrutto da grandi gruppi di compagnie del legname, di petrolio e chimiche: i nenets persero terreni da pascolo e gli insediamenti industriali, portò piogge acide e l’inquinamento ambientale.

I metalli pesanti e altre sostanze velenose si accumulano nei muschi e con loro, nei renni. Attraverso questi ultimi vengono introdotti nella catena alimentare dei nenets. Intanto, le regioni di Komi e Archangelsk osservano come si accelera la distruzione delle foreste. La destinazione principale di questo legno sono i mercati dell’Europa occidentale e la Finlandia. I lapones sono le ultime popolazioni indigene d’Europa, che vivono nel nord della Scandinavia e parte della Russia. Come i nenets, la loro cultura è contrassegnata da allevamento delle renne, la caccia e la pesca. Il bosco fornisce loro squisitezze come i funghi, corteccia di betulla per il tè, frutti di bosco, miele, noci e molte erbe medicinali. L’allevamento delle renne, sebbene è stato modernizzato, rimane al centro della loro cultura. L’industria del legno e la ricerca delle materie prime minacciano il fondamento della vita lapona: la foresta.

I popoli indigeni della taiga siberiana

Le foreste innevate della Russia asiatica sono il terzo orientale della Federazione Russa e copre più di 663 milioni di ettari. Ci sono aree vergine di foresta primaria che va dalla zona artica nel nordest Sakha, fino alla regione subtropicale lungo i bacini dei fiumi Amur e Ussuri a sud. Il bosco rappresenta il 45% del territorio, e varia dai boschi di tundra, a nord, ai temperati, a sud. Queste foreste sono anche la casa dei popoli indigeni.

Il più rappresentativo di questi popoli autoctoni sono i Nanai, che abitano le rive del Amur nella regione di Khabarovsk. La sua popolazione è stimata in 20.000 mila persone. Per secoli, i Nanai o «gente del luogo» hanno lì i loro territori di caccia e pesca. La stagione è ciò che determina cosa e per che si caccia. E la pesca costituisce una ricca fonte di cibo. Tradizionalmente, dalle pelli di pesce si fanno le scarpe e l’abbigliamento. Altro popolo originario, sono i Ulchi, abitano negli stessi territori che irrigano il fiume Amur. La sua popolazione è stimata in 4.000 persone. Attualmente, il loro habitat e la sopravvivenza della loro cultura sono minacciate dall’impatto ecologico che soffre il loro habitat ancestrale. La sua cosmovisione condivisa è il culto della natura.

Lenin Cardozo | ANCA24 – Hugo E. Méndez U. | ANCA24 Italia

I popoli indigeni del sudest Asiatico e dell’Africa Centrale. I boschi primari

Dei 300 milioni di persone indigene che esistono in tutto il mondo, i boschi primari sono stati il rifugio di circa 150 milioni di loro. Si stima che essi ospitano circa 1.500 gruppi etnici o tribù. L’amore per la madre natura, la sua riverenza tutti i giorni in ringraziamento per il cibo che essa gli fornisce, è il denominatore comune di queste comunità.

Per questi popoli originari, il rispetto per la vita, è il principale valore è lo più sacro. L’avarizia, avidità o accumulazione di ricchezza, sono comportamenti che non entrano nella loro cosmovisione della vita. Così antica come i boschi primari sono quelle stesse comunità. E il suo destino è legato alla fragilità di questi boschi. Di seguito verrà descritto molto succintamente, lo stile di vita delle principali comunità indigene, nei loro rispettivi ambienti.

I popoli indigeni della giungla del sudest asiatico

Dall’India alla Nuova Guinea, a Indocina, Malesia e attraverso una catena di più di 20.000 isole, si trova la più antica foresta pluviale del mondo. Questa grande foresta primaria è oggi la più minacciata, a causa della pressione insostenibile esercitata dalla popolazione in crescita. Il sudest asiatico è una regione densamente popolata: ci vivono circa 550 milioni di persone, circa un settimo degli abitanti di Asia. In essa c’è una grande diversità etnica, che vivono soprattutto nei delta, pianure alluvionali e valli fluviali.

Il Delta del Mekong e del Hong sono le aree più densamente popolate. Si stima che vivono in questi territori circa 1.000 tribù. Tra i principali gruppi etnici ci sono i Kayah, Brek, Bwe, Manumanaw, Paku, Yintale, Yimbau, Karen Neri (geba y pa’o), Padaung, Latha, Pwo, Karen Bianchi o S’gaw, Zayein, Toraja, Shan y Kachin. In Nuova Guinea si parlono più di 800 lingue, un terzo di tutte le lingue che esistono nel mondo. Gli Asmat, Baruya, Dani, Etoro, Korowai, Lak, Lakalai, Lesu, Maisin, rappresentano i suoi più importanti gruppi etnici. Molte di queste culture dipendono dalle foreste per mantenere il loro stile di vita, così come è accaduto per molte generazioni. Nella loro cosmovisione, ci sono elementi comuni: Credono che ogni oggetto, montagna, fiume possiede uno spirito. Alcuni di questi benevoli e altri malevoli.

I popoli indigeni dell’Africa Centrale La più alta concentrazione di popolazioni indigene di Africa, vivono nel bacino del Congo. Tutti dipendono del futuro delle foreste. I due gruppi principali sono il Bantu occidentali, che rappresentano oltre 400 gruppi etnici di popoli “melanoafricanos” e trai suoi principali gruppi etnici ci sono i Fang, Baqouba, Baluba, Lingala, Bakongo, Hutu, Baganda, Kikuyu, Tongas, Bechuanas, Herero, Swazi, Sotho, Zulu e Xhosa; e i cosiddetti Pigmei. Si stima che i Pigmei Babongo e Babinga costituiscono il 10% della popolazione della subregione, circa 300.000.

Questi ultimi appartengono ad un certo numero di gruppi etnici e vivono in un territorio dell’Africa Centrale che raggruppa il Camerun, Repubblica Centrafricana, Uganda, Ruanda, Burundi, Repubblica Democratica del Congo, Congo e Gabon. Il popolo di Pigmei è composto da diversi gruppi che vivono in territori selvatici principalmente di caccia e raccolta di frutti, che anche usano come medicina.

Come altri popoli indigeni, molti di loro sono stati sfrattati dalla loro terra a causa della deforestazione, la dichiarazione dei parchi nazionali e l’attività estrattive delle risorse della foresta. La foresta è la loro ragion d’essere e di vita, la casa della loro cultura e la loro spiritualità. «La Foret pleure», -la foresta piange-. Così descrive la tribù dei Baka -etnia pigmeo-, la crepa che producono gli alberi quando cadono su il sottobosco, seguito al cigolare delle seghe elettriche.

Lenin Cardozo | ANCA24 – Hugo E. Méndez U. | ANCA24 Italia

Niños, puentes de madera y Parque Comunal

El Parque Comunal “Tierra de Sueños”, es uno de los bosques de manglar mas extraordinarios que se conozcan en Latinoamérica y hoy es el escenario de múltiples visitas de niños y adolescentes llenos de curiosidad por conocer la flora y fauna de este paraíso, localizado en la población de Santa Rosa de Agua al norte de la ciudad de Maracaibo, estado Zulia, Venezuela. En él se diseñó un sendero de interpretación para visualizar sus árboles, los distintos follajes, sus mamíferos, aves, cangrejos, sus humedales y su frontera de costa, entre otros.

Recientemente en un recorrido de niños de edad preescolar, ya bosque adentro, comenzó a subir la marea y se tuvo que acelerar el paso para retirarnos, porque aun cuando el agua no llega mas de 30cm por encima del camino, siempre impresionan a los visitantes y mas cuando hay niños de tan corta edad. Esta experiencia de caminar con la marea alta dentro del bosque, nos obligo a diseñar y construir 5 puentes de madera con una distancia promedio de 6 metros de largo para poder pasar los caños o canales naturales mas pronunciados.

La tarea se hizo urgente, por la visita ya planificada de 100 niños de edad preescolar y el temor que nuevamente en plena jornada con los escolares la marea súbitamente subiera.

Sobre la humanidad de Rafael Ortega “Paito”, quien es el director del Programa de Ecoturismo de la Estación Biológica “Pueblos de Agua” y mi persona, ambos ya de 60 y 50 y déle años, comenzamos a buscar maderos, tablas y demás insumos, para iniciar así la rápida construcción. Con el clima promedio de 38 ºC, una terrible humedad, y millones de mosquitos, iniciamos los trabajos. La fatiga fue inmediata, desesperante, deshidratados, sin fuerzas, pero de solo pensar en la angustia que pudieran pasar los próximos visitantes, sacábamos fuerzas de donde no había y seguíamos armando los puentes.

De pronto ocurrió un milagro. Comenzaron aparecer o mas bien como brotar entre el bosque: uno, dos, tres, diez, veinte, cuarenta niños del sector entre 8 y 12 años de edad y silenciosamente comenzaron ayudarnos, me di cuenta que desde hace rato nos venían observando.

Me quitaron uno de los martillos que ya no lograba hundir los clavos por mi cansancio y comenzaron a clavar, a seguir las instrucciones, a buscar las tablas que faltaran y los puentes comenzaron a salir. Ya estábamos al límite de la próxima visita, y pensé que no podríamos lograrlo.

Ese día, para colmo de males, un mosquito o un abejorro me pico dentro de mi ojo izquierdo y ya no pude continuar por el dolor que me causaba. Me fui a una clínica cercana para que me atendieran y la preocupación se me acrecentó, al sentirme impotente de no seguir ayudando por lo agresivo de la picada. Esa noche no dormí, entre el dolor de mi ojo y la inquietud.

Al día siguiente le lleve la pintura requerida a “Paito”, que me dijo que el continuaría así sea solo. Igual aparecieron mas niños y la meta se cumplió. Los 100 niños del preescolar vinieron puntualmente en el día planificado (un día después de terminar los puentes) y aun con la posible marea ya no hubo sobresalto, los puentes cumplieron su cometido.

I popoli indigeni del Nord America. I boschi primari

Dei 300 milioni di persone indigene che esistono in tutto il mondo, i boschi primari sono stati il rifugio di circa 150 milioni di loro. Si stima che essi ospitano circa 1.500 gruppi etnici o tribù. L’amore per la madre natura, la sua riverenza tutti i giorni in ringraziamento per il cibo che essa gli fornisce, è il denominatore comune di queste comunità. Per questi popoli originari, il rispetto per la vita, è il principale valore è lo più sacro. L’avarizia, avidità o accumulazione di ricchezza, sono comportamenti che non entrano nella loro cosmovisione della vita. Così antica come i boschi primari sono quelle stesse comunità. E il suo destino è legato alla fragilità di questi boschi.

Di seguito verrà descritto molto succintamente, lo stile di vita delle principali comunità indigene, nei loro rispettivi ambienti. I popoli indigeni del Nord America

Circa 4 milioni di indigeni nativi o aborigeni, come si autodefiniscono, organizzati in più di 300 tribù vivono nel grande continente del Nord America. Il territorio Canadese è la riserva naturale della maggior parte di questi gruppi etnici, gli indiani rappresentano il 5% della popolazione, essendo questa proporzione la più alta nella foresta boreale, dove raggiungono il 15% nel territorio dello Yukon e 10 o 12% nel nordest. In Alaska la popolazione aborigeni è di circa il 3% del totale, a cui si aggiunge un aumento del 3% rappresentati dal Inuit delle zone costiere.

Attualmente la popolazione india dei boschi boreali del Nord America si dividono, in risposta a criteri linguistici, in due gruppi: ad ovest e nord sono concentrati circa 30.000 atapascanos, e ad est e sud si trova circa di 100.000 algonquianos.

In Alaska raggiungono tra i 6.000 e 7.000 atapascanos, meno della metà dei quali conservano le loro rispettive lingue, la più numerosa, circa 2.200, sono koyukons, che vivono nel bacino Koyukuk, un affluente della riva destra del Yukon, e il bacino centrale di questi ultimi, ei loro vicini da NE, i kutchins o “gwich’in”, per un totale di circa 2.600 persone distribuite tra Alaska e il territorio canadese di Yukon. I Kutchins sono i più settentrionale delle atapascanos e forse quelli che meglio hanno conservato le loro tradizioni e la loro lingua. I atapascanos della taiga canadese, sono stimati in circa 30.000, distribuite tra il Territorio dello Yukon e NW, da un lato, e le province limitrofe della Columbia Britannica, Alberta, Saskatchewan e Manitoba, dall’altro. Nel territorio dello Yukon vivono tra le 3.500 e le 4.000 e la più numerosa -circa 1.500- sono Tutchones, che vivono nel SW di questa zona, e più al nord i Kutchin.

Nella provincia della Columbia Britannica vivono gli Sekanis, i Tahltans, i Carriers, i Chilcotins, una frazione dei Beavers, la maggior parte dei quali vivono in Alberta, ed una parte delle Kaskes e Tagishos, che abitano anche il territorio meridionale dello Yukon, che insieme rappresentano un poco più di 6.000 persone. Sulle montagne del NW troviamo ai Tanaines, i Tananes, i Kutchin -chiamati anche «bizcos»-, i Hans, il Tahitans e i Hares. I Kutchin, il cui nome etimologicamente significa «popolo», se costituisce in un gruppo di tribù differenziate principalmente per il loro territorio.

Un altro gruppo nativo la cui lingua madre appartiene alla famiglia Nadene sono i Haida. I Haida vivono nelle isole Regina Charlotte della Columbia Britannica e nella isola Principe di Galles, nel sudest di Alaska e sono stimati in circa 5.000 persone. Tra i popoli di lingua algonchina, troviamo diversi gruppi di “crees” occidentali che sono distribuiti a est e sud dei fiumi Slave e Athabasca, e gran parte di quello che oggi è Manitoba, a est del Lago Winnipeg e fino alle baie di Hudson e James, vivono i “crees” centrali e i Ojibwa. Un altro gruppo importante sono i ne-enoilno «popolo perfetto». Attualmente ci sono circa 7.000 persone che vivono in nove riserve di Quebec.

Si stima globalmente che in Canada vivono circa un milione di persone indigene, dove quasi l’80% è concentrato sulle riserve o popoli che si trovano nei boschi boreali. Il bosco non solo fornisce cibo e protezione, è la scena della sua cosmovisione della vita. Il popolo dei Nuxalk, ad esempio, vivono da 10.000 anni fa nel cuore del bosco “Great Bear Rainforest”, foresta sulla costa occidentale della provincia canadese della Columbia Britannica.

La fonte principale di cibo dei Nuxalk è il salmone. La potatura di grandi zone boschive ha provocato la contaminazione dei fiumi che incidono direttamente sui salmoni che non possono deporre le uova, rompendo così, l’antico equilibrio della catena alimentare. Questo originario popolo indigena ha mantenuto una difesa della sua sovranità e indipendenza per vivere nel loro territorio in modo tradizionale. Classificando ai gruppi etnici più importanti del subcontinente, possiamo elencare ai: Achomawi, Accohannock, Apache, Aravacos, Cherokee, Cheyenne, Dakota, Yaquis, Tarahumaras, Catawba, Chinanteca, Comanche, Cornejas, Creek, Hopi, Hurones, Inuit -Eschimesi-, Iroqueses, Lakota, Lenape, Pawnee, Pipiles, Miami, Mohicanos, Mojave, Navajo, Pies Negros, Potawatomi, Seminoles, Shawnee, y los Sioux.

Tribù di Alaska: Afognak, Akhiok, Akiachak, Akiak, Akutan, Alakanuk Alatna, Aleknagik, Algaaciq, Allakaket, Ambler, Anaktuvuk, Yupiit de Andreafski, Angoon, Aniak, Anvik, Arctic, Asa’carsarmiut, Atka, Atqasuk, Atmautluak Village of Afognak, Alaska. Gli indiani americani nelle loro credenze indigene mostrano una base molto importante del rispetto per l’ambiente naturale che li circonda, la natura che gli permette loro di sopravvivere e di cui fanno parte. Secondo questa concezione religiosa, non esistevano confini tra il mondo degli esseri umani, animali e piante. Riveriscono ad un «padre cielo» e una «madre terra» che permettevano spiegare la risurrezione annuale della natura. Tutti i popoli della taiga credevano nell’esistenza degli spiriti «maestri» degli animali, credenza che ricorda a quella degli inuit -Cosmogonia del popolo inuit-. Così, per esempio, si rispettava specialmente all’orso, rispetto che si affermava con le feste che loro dedicavano e con la morte rituale dell’animale.

Lenin Cardozo | ANCA24 – Hugo E. Méndez U. | ANCA24 Italia

I popoli indigeni dell’Amazzonia e del Altipiano Sudamericano. I boschi primari

Dei 300 milioni di persone indigene che esistono in tutto il mondo, i boschi primari sono stati il rifugio di circa 150 milioni di loro. Si stima che essi ospitano circa 1.500 gruppi etnici o tribú. L’amore per la madre natura, la sua riverenza tutti i giorni in ringraziamento per il cibo che essa gli fornisce, è il denominatore comune di queste comunità.

Per questi popoli originari, il rispetto per la vita, è il principale valore è lo più sacro. L’avarizia, avidità o accumulazione di ricchezza, sono comportamenti che non entrano nella loro cosmovisione della vita. Così antica come i boschi primari sono quelle stesse comunità. E il suo destino è legato alla fragilità di questi boschi.

Di seguito verrà descritto molto succintamente, lo stile di vita delle principali comunità indigene, nei loro rispettivi ambienti. I popoli indigeni dell’Amazzonia

L’amazzonia, chiamata anche foresta equatoriale o foresta pluviale amazzonica ha una superficie di 6 milioni di chilometri quadrati e comprende nove paesi del Sud America: Brasile, Colombia, Perú, Venezuela, Ecuador, Bolivia e le Guyane: Guyana, Guyana Francese e Suriname.

Questo bosco primario ha circa di 20 milioni di persone indigene, tra cui circa 180.000 nativi americani e molti altri cablocos -abitanti tradizionale della foresta amerindi e portoghesi-.

Distribuito in 215 diversi gruppi etnici e 170 lingue diverse. I gruppi principali sono Aché, Arahuac, Arutani, Amanyé, Awá, Baniwa, Botocudo, Chamacoco, Chiripá, Cubeo, Enawene nawe (Saluma), Guajibo, Warao, Mapoyo, Maquiritare, Pemon, Piaroa, Puinabe, Sape, Yaruro, Guenoa, Guaraníes, Guaycurú, Hupdë, Káingang, Kamayurá, Karajá, Kayapó, Korubo, Mbyá, Munduruku, Ofaié, Paí tavyterá, Panará, Payaguá, Pirahã, Quilombolo, Tapirape, Ticuna, Tremembé, Tucano, Tupí, Tupiniquin (Tupinikim), Xavante, Xokó, Xucuru, Yanomami, Yawanawa.

La maggior parte dei popoli indigeni dell’Amazzonia hanno visto il loro territorio ridotto al minimo dopo le successive invasioni, espulsioni e usurpazioni nelle mani dei governi, compagnie del legname, allevamenti di bestiame e grandi piantagioni. Il contatto con i coloni, i cercatori d’oro e gli altri lavoratori, che spesso operano illegalmente, hanno causato continue epidemie di malattie davanti alle quali i popoli indigeni non hanno difese immunitarie. Molte comunità sono state decimate. Dipendono dei boschi per vivere. Dalla foresta estragono cibo, rifugi, strumenti e medicine. Inoltre, i boschi svolgono un ruolo cruciale nella loro cultura e le credenze religiose.

I popoli indigeni dei boschi del Altipiano Sudamericano

Il Altipiano del Sud America è un territorio che concentra un’alta popolazione delle comunità indigene. Si stima circa 25 milioni, distribuiti in più di 100 gruppi etnici. Di cui 10 milioni sono dipendenti dai loro boschi.

In Argentina e Cile, i Mapuche di Huitrapulli; i Pehuenche, vivono nei boschi di Araucarias nella Valle di Quinquén Cileno; o il popolo Wichí, nel nord dell’Argentina. Tradizionalmente, questi popoli sono sopravvissuti grazie alla ricchezza naturale del bosco in cui vivono. Inoltre, questi boschi sono la base della religione, la loro spiritualità e la loro cultura.

Si evidenziano anche e gli Aymara, che rappresenta una popolazione di circa 4 milioni di persone nel subcontinente. La popolazione di lingua Quechua, che raggiunge i 15 milioni di persone in America.

Le Atacameños, la cui cosmovisione esprime una profonda e intensa interazione con la natura, in particolare con l’acqua, in quanto è una società di cultura del deserto. Le Collas, dove la loro cultura è collegata alla cosmovisione del mondo andino, basata su una conoscenza profonda della flora e fauna che vivono con loro nelle zone di montagna.

Altri gruppi principali etnici: Huánuco, Asháninka, Chamicuro, Culina, Machiguenga, Nomatsiguenga, Yine, Shawi, Shiwilu, Harakmbut, Bora, Huitoto, Ocaina, Achuar, Awajun, Kandozi, Wampis, Jíbaro, Amahuaca, Capanahua, Cashibo-Cacataibo, Cashinahua, Mayuruna-Matsé, Nahua, Sharanahua, Shipibo, Conibo, Yaminahua, Capanahua, Cashibo, Cacataibo, Cashinahua, Mayuruna-Matsé, Nahua, Sharanahua, Shipibo-Conibo, Yaminahua, Yagua, Ese´Ejja, Orejón, Secoya, Kukama, Kukamiria, Arabela, Iquito, Tikuna, Urarina, Jaqi, Tupi Guaraní, Chiriguano, Izozeño, Guarayos, Sirionó, Yuqui, Tapiete, Guarasug’we, Chiquitano, Mojeño, Baure, Tacana, Ese Ejja , Cavineño, Araona , Toromona, Caimanes, Mosetenes, Mataco Noctene, Chipayas, Nitrato, Iruito, Ayoreo, Chacobo, Yaminahua, Paguara, Itenez, Yuracaré, Movida, Cayuvaba, Canichana, Lecos.

Lenin Cardozo | ANCA24 – Hugo E. Méndez U. | ANCA24 Italia

Energia eolica marina, la migliore scommessa dei Caraibi

L’utilizzo energetico della forza dei venti mediante l’installazione di turbine eoliche in aree caratterizzate da forti venti durante tutto l’anno, è oggi, la proposta di energie pulita o rinnovabili di maggiore sviluppo e crescita tecnologica negli ultimi anni. L’energia eolica sta guadagnando terreno come una delle alternative più valide per sostituire i combustibili fossili e quindi viene assunta come una delle azioni concrete per ridurre le emissioni di CO2 e così frenare il riscaldamento globale . Proposta energetica che siamo obbligati a difendere senza dubbio, dal momento in cui l’attuale parco tecnologico nel settore energetico dei paesi sviluppati, rimane ancora il più inquinante. Sebbene questi paesi “hanno accordato” nel Protocollo di Kyoto di ridurre le emissioni di CO2 nell’atmosfera. Fissare come obiettivo che entro il 2012, le emissioni di gas inquinanti potrebbe crescere solo un 15% rispetto al 1990, tuttavia, tali emissioni rimangono ancora oggi nel 17% oltre il limite accordato.

La miglior esperienza di questo tipo di energia alternativa è quella prodotta nel mare aperto -energia eolica marina-, in quanto la velocità del vento è più forte e più prevedibile, soprattutto quando i siti per installare l’energia eolica su un terreno cominciano a scarseggiare negli insediamenti per gli insediamenti della popolazione costiera. Il primo parco eolico marino composto da 11 turbine da 450 kW, è stato costruito in Danimarca nel 1991 a nord dell’isola di Lolland nel Mar Baltico e, nel 2002, dopo il lancio di diversi parchi con diversa potenza, apre il parco Horns Rev, il più grande del mondo con 80 turbine eoliche con una capacità installata di 160 MW. Questo paese ha il “Piano d’Azione sull’Energia, Energia 21”, in base al quale 4.000 MW di energia eolica saranno installati in mare aperto entro il 2030, che andrà aggiungere altri 1.500 MW installati in terra per raggiungere oltre il 50 % del consumo di energia nel paese, il tutto con un investimento di 16.000 milioni di dollari.

Dopo i risultati concreti ottenuti in quel paese, si può concludere che, anche se l’impianto nel mare di strutture con caratteristiche simili, è di un investimento superiore rispetto a quelli situati in terra, la produzione di energia elettrica è più stabile e il 20 % in più, e la vita utile del parco, ben tenuto, può essere raddoppiata. I parchi esistenti attualmente si trovano in aree poco profonde, lontani da vie marittime, aree di collegamento via microonde, zone militari, spazi di particolare interese ornitologico o naturale in generale e lontani dalla costa almeno 2 chilometri, per fare un uso migliore delle condizioni dei venti, con caratteristiche diverse dai venti a terra.

In mare, il vento si trova con una superficie di ruvidità variabile, le onde, e senza ostacoli come isole, isolette, e così via. Questo implica che la velocità del vento non subisce variazioni significative a variare l’altezza della turbina eolica, in modo che possono utilizzarsi torri più basse da quelle usate in terra. Inoltre, il vento è generalmente meno turbolento in mare che in terra, così che in una turbina eolica situata sul mare ci si può aspettare un periodo di lavoro utile maggiore rispetto ad altre situate in terra.

Uno degli aspetti che riduce i costi di installazione di tale turbine eoliche è quello di ottimizzare i sistemi di ancoraggio e base a terra. Inizialmente sono state fatte mediante fondazione in calcestruzzo per gravità, facendo la costruzione in bacino di carenaggio di grandi strutture che successivamente sono state fissate al pavimento e sono stati riempiti con ghiaia e sabbia. Un disegno successivo, il monopile, è quello di perforare il fondale con un diametro di 3,5 a 4,5 metri e una profondità di 10 a 20 metri, che introduce un cilindro metallico che è alla base della torre. Attualmente impiega una tecnica di gravità + acciaio, il risultato della combinazione delle due. Nel caso di acque profonde, si usano tre gambe treppiedi ancorata al terreno.

Finalmente, i parchi eolici sono collegati con la terraferma attraverso cavi sottomarini interrati per ridurre il rischio di danno fatti da attrezzi da pesca, ancore, ecc. In aree strategiche del parco ci sono, tra l’altro, instalazioni di servizio, centri di trasformazione che traducono la bassa o media tensione a alta, per facilitare il trasporto fino alla costa. Se la distanza a terra è di 30 km è possibile utilizzare connessioni di correnti in alta tensione. Una volta a terra, è sufficiente collegare la linea elettrica con la rete di distribuzione esistente. L’installazione di parchi eolici nei Caraibi, sono già competitivi, perché il tasso percepito da queste tecnologie è inferiore al prezzo medio di generazione di energia elettrica rispetto ai tassi elevati delle tecnologie che usano il petrolio -olio combustibile o gasolio-. Questa scelta viene sostenuta perché il prezzo di questi combustibili, prodotto per il trasporto alle isole, li rende sempre più proibitivi.

La variabilità del costo dell’energia prodotta con combustibili fossili mostra che un kilowatt di energia eloica per ora costi circa la metà di quella prodotta con fueloil e il 37% inferiore al gasolio. Così, i sistemi elettrici dei Caraibi saranno più sicuri, perché miglioreranno la loro autosufficienza, saranno più puliti, rinnovabile e più economici, perché saranno ridotti i costi di generazione dell’energia elettrica grazie alla continua inflazione dei prezzi dei carburanti fossili.

Lenin Cardozo | ANCA24 – Hugo E. Méndez U. | ANCA24 Italia

In Venezuela due illustri: Ecoscuole e “Tierra de Sueños” se ritrovano, la magia della fede

La magia della Fede. Un campo usato clandestinamente come una discarica. Flora e fauna accerchiata dai “terrofagos” (mangia di terra) che impunemente stavano deforestando le mangrovie o bruciandole riempiendo le sue radici con rifiuti da costruzione, estendendo così i recinti delle loro case. L’ultimo polmone-rene del comune più importante nello Stato Zulia: le mangrovie di Maracaibo, al ovest del Venezuela, che veniva gravemente ferito dalla impunità e di colpo, accade il miracolo: la comunità di questo ambiente, lo decreta “Parco Comunale”.

“Tierra de Sueños”, è il nome del parco più illustre della città di Maracaibo. Perché è riemerso come una “Ave Fenix” dalle ceneri, le macerie e l’indifferenza.

Il programma Ecoscuole si muove verso la seconda fase, che porta gli studenti a comprendere l’esperienza del loro ambiente, sensibilizzati con la flora e la fauna associate con al loro contesto. L’incontro è stato inevitabile e ora hanno riscoperto a “Tierras de Sueños”.

I bambini della Ecoscuola “Jesùs María Portillo” del popolo di Santa Rosa de Agua, ipnotizzati dalle gallerie di alberi di mangrovie e paludi, saltando dai loro canali naturali di acqua che scorre al ritmo delle maree, salendo tra i rami della mangrovia rossa (Rizófora mangle), hanno scoperto uno dei boschi più belli del paese. Hanno visto gli uccelli, granchi, e spaventate serpenti e flora speciale, che con la conoscenza dei Ecoguide del Parco gli hanno spiegato.

Così si ritrovano questi due venezuelani illustri, che contribuiscono in modo determinante a formare uomini e donne che difendono con conoscenza gli spazi per tutti (umani e non umani).

Qualche anno fa, quando noi siamo partiti, come Fondazione Azul Ambientalistas, con la proposta di creare le ECOSCUOLE, siamo andati a bussare alle porte delle scuole perche ci ascoltassero, poche lo hanno fatto, fino a quando siamo arrivati ​​ad una che ci ascoltò, con la proposta di creare il Parco Comunale “Tierra de Sueños”, senza conoscerci e in atto di fede, angeli in carne ed ossa, hanno deciso di prestarci attenzione e unirsi a noi.

Oggi ci sono solo in Maracaibo 250 Ecoscuole e si ha il primo Parco Comunale del paese, come una strategia per difendere l’erosione che subiscono i parchi nazionali o aree verdi prodotto dell’azione degli umani-“bachacos”, ingoia terra.

Lenin Cardozo | ANCA24 – Hugo E. Méndez U. | ANCA24 Italia

El Elefante que deshonró al Rey Juan Carlos

Aún la información es confusa. Lo que si es cierto es que la Casa Real, no sale de su asombro y de la vergüenza. Están tratando de que lo sucedido no salga a los medios de comunicación.

El equipo medico no tiene argumentos para «confundir» a los curiosos y así desinformar sobre la rara fratura de cadera que le ha ocurrido, ya que esta se produjo desde adentro hacia afuera. Dificíl y a la vez penoso de explicar. Sin embargo estan buscando aun los argumentos «tecnicos» del caso. Todo indica que el Rey Juan Carlos I, que es un excelente cazador de animales en cautiverio, quiso repetir la hazaña de matar a uno de los grandes. La vez anterior fue muy exitoso cuando casi a quemarropa le dio a un oso en Vologda, en el noreste de Moscú, por cierto estaba amarrado y había previamente consumido casi dos galones de miel con vodka, cuentan que el Borbón cazador fallo dos veces, porque el oso se revolcaba de la borrachera que tenia y no se quedaba quieto.

Pero ahora la situación fue distinta y ocurrió “lo peor de lo peor”. El Rey se anoto en un nuevo Safari, esta vez en África, en Botsuana, para cazar elefantes, el plan era que a él lo iban a esconder en un matorral y los del Safari “para ayudarlo”, llevarían con una cuerda a un elefante ya de mucha edad, casi moribundo, para que Juan Carlos le pudiera pegar unos balazos. Claro a una distancia no mayor de 3 metros, porque más de ahí “el gran cazador de España” no da al blanco y más bien puede causar un accidente. Porque mas de un accidente ha causado. Lo cierto, es que con la euforia «el coronado» no acato las recomendaciones de tener cuidado porque había una manada de elefantes que estaban en celo, es decir en época de apareamiento y ahí si la cosa se podia complicaba más.

No hizo caso y como el es el Rey, dijo que lo dejaran solo en el monte acordado y que le pasaran rápido el elefante que tenia que cazar. Y mientras el Rey esperaba de cunclillas a la presa, un elefante inadvertido que estaba a su espalda se abalanzo sobre él

y sucedió la tragedia, la gran “Deshonra Real”.

Todo fue muy rapido: un elefante encima del hombre, un grito desgarrador de dolor del cazador, unos minutos de terror, de panico, que paralizo a todos los acompañantes y cuando estos reaccionaron ya era demasiado tarde. Y así con las mismas, el elefante hizo de las suyas y se fue. Los testigos sufrieron lo que dicen popularmente «la pena ajena». Los organizadores del Safari, no salian también de su asombro.

Para los amigos del Àfrica, solo les quedo mirar con cierta discreción y taparse los oidos de la griteria que cargaba Juan. No digo que se le tenía que romper la cadera, más bien corrió con suerte y no le paso nada, todos creían que los ojos los perdería por lo saltones que se le pudieron. El Rey no dejaba de chillar, hasta que la reina no aguanto más tanta quejadera y le grito tambien «Por que no te callas!!». Ahora vienen las averiguaciones y a buscar el culpable de ese daño a la realeza española. La WWF, ONG para la preservación de la naturaleza, donde Juan Carlos I, es su presidente de honor, quiere que se castiguen a los culpables por tan “real” atropello y que ahora ha puesto en entre dicho la nobleza de esa organizaciòn. Bueno, Juan Carlos I, solo nos queda decirte que esperamos que te cosan bien la herida y que pronto mejores, te lo deseamos de todo corazón los ambientalistas y ecologistas del mundo. Queremos que seas un ejemplo en vida, de los que finalmente son cazados por los mismos a quien ellos cazan.

Lenin Cardozo